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Nell’aprile del 1878, in occasione del centenario della cattedra di Fisica sperimentale che fu conferita ad Alessandro Volta nell’Ateneo pavese, Pavia e la sua Università organizzarono una cerimonia che ebbe vasta risonanza sia in Italia che all’estero. Fu istituita dal rettore Alfonso Corradi una commissione per la programmazione e la gestione dell’evento, composta dal preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali oltreché successore di Volta alla Cattedra di Fisica, Giovanni Cantoni, da Tullio Brugnatelli, da Eugenio Beltrami, da Girolamo Gobbi Belcredi e dal cavalier Carlo Francesco Nocca, cittadino pavese, finanziatore della statua dedicata a Volta che sarebbe stata inaugurata in uno dei cortili dell’Università, a perpetuo ricordo del grande scienziato. All’inaugurazione della statua, la cui esecuzione fu affidata allo scultore milanese Antonio Tantardini, presenziò il primo ministro Benedetto Cairoli. Per l’occasione l’Università di Pavia, conferì la laurea honoris causa in fisica ai maggiori esperti in elettrologia. I premiati furono Hermann Ludwig Ferdinand Von Helmholtz, Wilhelm Eduard Weber, Franz Ernst Neumann, William Thomson, James Clerk Maxwell, Peter Theophil Riess, Jean-Baptiste Dumas, Robert Wilhelm Bunsen. A questo avvenimento parteciparono molti rappresentanti e delegati di università, accademie e società scientifiche e intervennero numerose personalità di primo piano, non solo nell’ambito della fisica. Il fondo archivistico digitalizzato è formato dai carteggi intercorsi per la solenne celebrazione tra l’Università, la Facoltà di Scienze, la commissione organizzatrice, il Ministero della Istruzione pubblica e le istituzioni e personalità italiane ed estere coinvolte.
Nell’aprile del 1878, in occasione del centenario della cattedra di Fisica sperimentale che fu conferita ad Alessandro Volta nell’Ateneo pavese, Pavia e la sua Università organizzarono una cerimonia che ebbe vasta risonanza sia in Italia che all’estero. Fu istituita dal rettore Alfonso Corradi una commissione per la programmazione e la gestione dell’evento, composta dal preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali oltreché successore di Volta alla Cattedra di Fisica, Giovanni Cantoni, da Tullio Brugnatelli, da Eugenio Beltrami, da Girolamo Gobbi Belcredi e dal cavalier Carlo Francesco Nocca, cittadino pavese, finanziatore della statua dedicata a Volta che sarebbe stata inaugurata in uno dei cortili dell’Università, a perpetuo ricordo del grande scienziato. All’inaugurazione della statua, la cui esecuzione fu affidata allo scultore milanese Antonio Tantardini, presenziò il primo ministro Benedetto Cairoli. Per l’occasione l’Università di Pavia, conferì la laurea honoris causa in fisica ai maggiori esperti in elettrologia. I premiati furono Hermann Ludwig Ferdinand Von Helmholtz, Wilhelm Eduard Weber, Franz Ernst Neumann, William Thomson, James Clerk Maxwell, Peter Theophil Riess, Jean-Baptiste Dumas, Robert Wilhelm Bunsen. A questo avvenimento parteciparono molti rappresentanti e delegati di università, accademie e società scientifiche e intervennero numerose personalità di primo piano, non solo nell’ambito della fisica. Il fondo archivistico digitalizzato è formato dai carteggi intercorsi per la solenne celebrazione tra l’Università, la Facoltà di Scienze, la commissione organizzatrice, il Ministero della Istruzione pubblica e le istituzioni e personalità italiane ed estere coinvolte.
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Il Collegio Borromeo, fondato da san Carlo Borromeo a Pavia nel 1561, è il più antico collegio universitario d’Italia in attività. La lungimirante iniziativa, ratificata da papa Pio IV con la Bolla di fondazione, ricevette il proprio compimento organizzativo e amministrativo grazie al primo Patrono, il Cardinale Federico Borromeo, che aveva fatto parte anche del primo gruppo di alunni (come ricorda Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”). Mantenendo la missione fondativa di favorire l’accesso alla formazione universitaria di giovani meritevoli, il Collegio Borromeo ospita quasi duecento studenti dell’Università di Pavia, sia italiani che internazionali, selezionati tramite concorso. Edificato dall’architetto Pellegrino Pellegrini e completato dagli interventi di Francesco Maria Ricchini nel Seicento e di Giuseppe Pollack nell’Ottocento, è un luogo di eccezionale valore architettonico e, grazie alla continuità storica, conserva un ricchissimo patrimonio archivistico, librario e artistico, che ne documenta i quasi cinque secoli di vita. Il fondo Almo Collegio Borromeo è suddiviso in due sezioni, articolate in sottosezioni: la prima (Storia e protagonisti) offre una selezione di materiali documentari, librari, artistici, fotografici dedicati ai protagonisti della storia del Collegio – fondatore, patroni, rettori, alunni – e a momenti significativi della sua storia, come la trasformazione in ospedale militare durante la Prima Guerra Mondiale; la seconda sezione (Arte) si focalizza sul patrimonio artistico e culturale del Collegio, presentandone gli elementi più prestigiosi: il ciclo pittorico del Salone degli affreschi, la quadreria, disegni architettonici, antiche mappe, frammenti di manoscritti, libri rari, fino alle opere di artisti contemporanei che impreziosiscono il parco di Horti, aperto alla cittadinanza nel 2023.
Il Collegio Borromeo, fondato da san Carlo Borromeo a Pavia nel 1561, è il più antico collegio universitario d’Italia in attività. La lungimirante iniziativa, ratificata da papa Pio IV con la Bolla di fondazione, ricevette il proprio compimento organizzativo e amministrativo grazie al primo Patrono, il Cardinale Federico Borromeo, che aveva fatto parte anche del primo gruppo di alunni (come ricorda Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”). Mantenendo la missione fondativa di favorire l’accesso alla formazione universitaria di giovani meritevoli, il Collegio Borromeo ospita quasi duecento studenti dell’Università di Pavia, sia italiani che internazionali, selezionati tramite concorso. Edificato dall’architetto Pellegrino Pellegrini e completato dagli interventi di Francesco Maria Ricchini nel Seicento e di Giuseppe Pollack nell’Ottocento, è un luogo di eccezionale valore architettonico e, grazie alla continuità storica, conserva un ricchissimo patrimonio archivistico, librario e artistico, che ne documenta i quasi cinque secoli di vita. Il fondo Almo Collegio Borromeo è suddiviso in due sezioni, articolate in sottosezioni: la prima (Storia e protagonisti) offre una selezione di materiali documentari, librari, artistici, fotografici dedicati ai protagonisti della storia del Collegio – fondatore, patroni, rettori, alunni – e a momenti significativi della sua storia, come la trasformazione in ospedale militare durante la Prima Guerra Mondiale; la seconda sezione (Arte) si focalizza sul patrimonio artistico e culturale del Collegio, presentandone gli elementi più prestigiosi: il ciclo pittorico del Salone degli affreschi, la quadreria, disegni architettonici, antiche mappe, frammenti di manoscritti, libri rari, fino alle opere di artisti contemporanei che impreziosiscono il parco di Horti, aperto alla cittadinanza nel 2023.
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Il Fondo raccoglie libretti d'opera a stampa di fine '800, inizi '900. E' composto da 254 libretti di opere teatrali, congiuntamente a pochi altri materiali di minore interesse, che abbracciano il periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento. La raccolta di libretti si deve principalmente a Cirillo Pozzali, ma è stato accresciuta dal fratello Francesco e successivamente da Giuseppe Ghisi, figlio di una sorella di Cirillo e padre della signora Giuseppina Ghisi, che ha donato il fondo alla Facoltà di Musicologia nel 2003.
Il Fondo raccoglie libretti d'opera a stampa di fine '800, inizi '900. E' composto da 254 libretti di opere teatrali, congiuntamente a pochi altri materiali di minore interesse, che abbracciano il periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento. La raccolta di libretti si deve principalmente a Cirillo Pozzali, ma è stato accresciuta dal fratello Francesco e successivamente da Giuseppe Ghisi, figlio di una sorella di Cirillo e padre della signora Giuseppina Ghisi, che ha donato il fondo alla Facoltà di Musicologia nel 2003.
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L'Erbario Lombardo rappresenta la più importante raccolta di campioni vegetali essiccati della Lombardia, costituito da oltre 35.000 reperti raccolti su tutto il territorio regionale a partire dall’inizio del XIX secolo e fino agli anni ’90 del XX secolo. L’Erbario Lombardo fu costituito su iniziativa di Raffaele Ciferri (1897-1964), direttore dell’Istituto Botanico e Laboratorio Crittogamico dell'Università di Pavia a partire dal 1942. In questa collezione vennero riuniti importanti erbari storici e personali ottocenteschi quali l’Erbario Pavese, la Collectio Agri Ticinensis, l’Erbario Comolli, e parte delle raccolte di Lorenzo Rota (1819-1855), unitamente a importanti collezioni acquisite durante la direzione Ciferri: Ottone Penzig (1856-1929), Massimo Longa (1854-1928), Pietro Rossi (1871-1950) e Luigi Ceroni (1883-1951). Tra gli ultimi campioni acquisiti, si ricordano quelli del Prof. Augusto Pirola, raccolti nell’area alpina, e quelli del Prof. Francesco Sartori, provenienti principalmente dalla Pianura Padana.
L'Erbario Lombardo rappresenta la più importante raccolta di campioni vegetali essiccati della Lombardia, costituito da oltre 35.000 reperti raccolti su tutto il territorio regionale a partire dall’inizio del XIX secolo e fino agli anni ’90 del XX secolo. L’Erbario Lombardo fu costituito su iniziativa di Raffaele Ciferri (1897-1964), direttore dell’Istituto Botanico e Laboratorio Crittogamico dell'Università di Pavia a partire dal 1942. In questa collezione vennero riuniti importanti erbari storici e personali ottocenteschi quali l’Erbario Pavese, la Collectio Agri Ticinensis, l’Erbario Comolli, e parte delle raccolte di Lorenzo Rota (1819-1855), unitamente a importanti collezioni acquisite durante la direzione Ciferri: Ottone Penzig (1856-1929), Massimo Longa (1854-1928), Pietro Rossi (1871-1950) e Luigi Ceroni (1883-1951). Tra gli ultimi campioni acquisiti, si ricordano quelli del Prof. Augusto Pirola, raccolti nell’area alpina, e quelli del Prof. Francesco Sartori, provenienti principalmente dalla Pianura Padana.
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Pervenuto nell’attuale sede della Biblioteca di Arte dell’Ateneo pavese (già Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pavia e ora sezione della Biblioteca di Studi Umanistici) nel 1968, subito dopo la scomparsa del suo proprietario, Wart Arslan, docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’ateneo pavese dal 1942 al 1968, il fondo, raccolto in circa 270 scatole, è composto da materiale eterogeneo: estratti bibliografici, annate di riviste, appunti manoscritti e dattiloscritti, corrispondenza epistolare, fotografie e ritagli di libri o di riviste. Nel suo insieme esso testimonia l’attività scientifica e didattica del professor Arslan, a partire dagli anni Trenta del Novecento, e documenta l’ampiezza dei suoi interessi di studioso, che spaziano dall’architettura romanica e preromanica alla pittura del Settecento, con particolare riguardo all’area veneta e lombarda. Al momento della donazione all’Università la vasta raccolta rispettava la suddivisione, voluta dal professore, in quattro grandi categorie: estratti bibliografici, riviste, fotografie e stampe e infine appunti manoscritti e dattiloscritti e materiale miscellaneo, tra cui la corrispondenza (“Varie. Lettere su cose d’arte”). Ogni categoria, ad eccezione di quella delle riviste, era stata poi organizzata per secoli ed aree geografiche. Trasferito nel corso degli anni Novanta del secolo scorso in locali di pertinenza della Biblioteca di Lettere (già cortile del Leano del palazzo centrale), l’archivio nel 2018 è ritornato nella Biblioteca di arte. Risale molto probabilmente agli anni immediatamente successivi alla donazione del fondo la prima catalogazione di una parte delle fotografie che, prelevate dalle scatole originarie, sono state incollate su schede cartacee e ordinate in classificatori metallici, per facilitarne la consultazione. Altre foto si trovano ancora sciolte all’interno dei classificatori. Il riordino avviato ha l’obiettivo di rendere disponibile alla consultazione l’intero fondo, tramite l’inventariazione dei materiali bibliografici e il loro inserimento nell’OPAC di Ateneo e la digitalizzazione dei materiali più fragili, quali manoscritti, dattiloscritti, fotografie e ritagli, che andranno a costituire una banca dati, a partire dalla quale si possa ricomporre l’archivio di studio e ricerca di Wart, rendendolo contemporaneamente disponibile alla consultazione.
Pervenuto nell’attuale sede della Biblioteca di Arte dell’Ateneo pavese (già Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pavia e ora sezione della Biblioteca di Studi Umanistici) nel 1968, subito dopo la scomparsa del suo proprietario, Wart Arslan, docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’ateneo pavese dal 1942 al 1968, il fondo, raccolto in circa 270 scatole, è composto da materiale eterogeneo: estratti bibliografici, annate di riviste, appunti manoscritti e dattiloscritti, corrispondenza epistolare, fotografie e ritagli di libri o di riviste. Nel suo insieme esso testimonia l’attività scientifica e didattica del professor Arslan, a partire dagli anni Trenta del Novecento, e documenta l’ampiezza dei suoi interessi di studioso, che spaziano dall’architettura romanica e preromanica alla pittura del Settecento, con particolare riguardo all’area veneta e lombarda. Al momento della donazione all’Università la vasta raccolta rispettava la suddivisione, voluta dal professore, in quattro grandi categorie: estratti bibliografici, riviste, fotografie e stampe e infine appunti manoscritti e dattiloscritti e materiale miscellaneo, tra cui la corrispondenza (“Varie. Lettere su cose d’arte”). Ogni categoria, ad eccezione di quella delle riviste, era stata poi organizzata per secoli ed aree geografiche. Trasferito nel corso degli anni Novanta del secolo scorso in locali di pertinenza della Biblioteca di Lettere (già cortile del Leano del palazzo centrale), l’archivio nel 2018 è ritornato nella Biblioteca di arte. Risale molto probabilmente agli anni immediatamente successivi alla donazione del fondo la prima catalogazione di una parte delle fotografie che, prelevate dalle scatole originarie, sono state incollate su schede cartacee e ordinate in classificatori metallici, per facilitarne la consultazione. Altre foto si trovano ancora sciolte all’interno dei classificatori. Il riordino avviato ha l’obiettivo di rendere disponibile alla consultazione l’intero fondo, tramite l’inventariazione dei materiali bibliografici e il loro inserimento nell’OPAC di Ateneo e la digitalizzazione dei materiali più fragili, quali manoscritti, dattiloscritti, fotografie e ritagli, che andranno a costituire una banca dati, a partire dalla quale si possa ricomporre l’archivio di studio e ricerca di Wart, rendendolo contemporaneamente disponibile alla consultazione.
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Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) progettò un’ampia collezione di strumenti da utilizzare per la preparazione pratica degli allievi chirurghi destinati a prestare servizio nelle armate asburgiche. La realizzazione dello strumentario fu affidata al coltellinaio viennese Joseph Malliard o Maliar (1748- 1814), che lavorò sulla base di modelli di manifattura francese e inglese, e delle tavole del volume Instrumentarium chirurgicum militare Austriacum, pubblicato da Brambilla in tedesco nel 1780 e in latino nel 1782. Una grande collezione venne costruita per Vienna, mentre raccolte minori furono inviate Firenze e a Pavia. Una selezione di strumenti fu spedita anche in Russia. Trentasei cassette di ferri chirurgici giunsero in dono da Vienna a Pavia intorno nel 1786. Nel 1845 l’Inventario dei mobili e delle suppellettili scientifiche appartenenti all’armamentario chirurgico (oggi conservato all’Archivio di Stato di Pavia, Antico archivio dell’Università, Rettorato, 161) riporta l’esistenza di trentaquattro scatole, comprese tra gli strumenti antichi. Quando, negli anni trenta del Novecento, la clinica chirurgica si trasferì nella nuova sede del Policlinico, l’antica raccolta (che constava al tempo solo di alcune cassette e di ferri sciolti) pervenne al Museo per la storia dell’Università. Negli anni settanta la collezione fu restaurata e riorganizzata tentando di ricostruirne l’assetto originario. La raccolta è attualmente costituita da trenta cassette di legno, tutte prive del coperchio, ricoperte esternamente di pelle rossa e dotate internamente di una base rivestita di velluto verde, nella quale si trovano degli alloggiamenti sagomati e spesso bordati di passamaneria dorata per accogliere i vari strumenti, costruiti in acciaio, avorio e altri materiali di pregio. Singole cassette - o gruppi di due o più di esse - sono dedicate a particolari tipi di operazioni (ad esempio interventi al cranio, salasso, parto, amputazioni, litotomia, estrazione di proiettili). A queste cassette si devono aggiungere altre otto scatole che contengono una miscellanea di strumenti, anch’essi riconducibili all’ambiente viennese e all’operato di Brambilla. Sei hanno foggia del tutto identica, salvo che in esse è ancora presente il coperchio. Altre due scatole sono invece rivestite in pelle scura e foderate con una grezza stoffa verde (forse in sostituzione di un precedente velluto rosso, ancora presente all’interno del coperchio). Nel complesso la collezione offre un quadro degli interventi e delle tecniche chirurgiche in uso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) progettò un’ampia collezione di strumenti da utilizzare per la preparazione pratica degli allievi chirurghi destinati a prestare servizio nelle armate asburgiche. La realizzazione dello strumentario fu affidata al coltellinaio viennese Joseph Malliard o Maliar (1748- 1814), che lavorò sulla base di modelli di manifattura francese e inglese, e delle tavole del volume Instrumentarium chirurgicum militare Austriacum, pubblicato da Brambilla in tedesco nel 1780 e in latino nel 1782. Una grande collezione venne costruita per Vienna, mentre raccolte minori furono inviate Firenze e a Pavia. Una selezione di strumenti fu spedita anche in Russia. Trentasei cassette di ferri chirurgici giunsero in dono da Vienna a Pavia intorno nel 1786. Nel 1845 l’Inventario dei mobili e delle suppellettili scientifiche appartenenti all’armamentario chirurgico (oggi conservato all’Archivio di Stato di Pavia, Antico archivio dell’Università, Rettorato, 161) riporta l’esistenza di trentaquattro scatole, comprese tra gli strumenti antichi. Quando, negli anni trenta del Novecento, la clinica chirurgica si trasferì nella nuova sede del Policlinico, l’antica raccolta (che constava al tempo solo di alcune cassette e di ferri sciolti) pervenne al Museo per la storia dell’Università. Negli anni settanta la collezione fu restaurata e riorganizzata tentando di ricostruirne l’assetto originario. La raccolta è attualmente costituita da trenta cassette di legno, tutte prive del coperchio, ricoperte esternamente di pelle rossa e dotate internamente di una base rivestita di velluto verde, nella quale si trovano degli alloggiamenti sagomati e spesso bordati di passamaneria dorata per accogliere i vari strumenti, costruiti in acciaio, avorio e altri materiali di pregio. Singole cassette - o gruppi di due o più di esse - sono dedicate a particolari tipi di operazioni (ad esempio interventi al cranio, salasso, parto, amputazioni, litotomia, estrazione di proiettili). A queste cassette si devono aggiungere altre otto scatole che contengono una miscellanea di strumenti, anch’essi riconducibili all’ambiente viennese e all’operato di Brambilla. Sei hanno foggia del tutto identica, salvo che in esse è ancora presente il coperchio. Altre due scatole sono invece rivestite in pelle scura e foderate con una grezza stoffa verde (forse in sostituzione di un precedente velluto rosso, ancora presente all’interno del coperchio). Nel complesso la collezione offre un quadro degli interventi e delle tecniche chirurgiche in uso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
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Nel 2022, a cento anni dalla scomparsa di Torquato Taramelli, l’Università di Pavia ha celebrato lo scienziato con una mostra allestita presso Kosmos – Museo di Storia naturale dell’ateneo, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia. Il programma di commemorazione di Torquato Taramelli si completa nella Digital Library con una presentazione a tutto tondo del personaggio attraverso una varietà di proposte digitali, un percorso che intende offrire all'utente una panoramica virtuale sulla figura di Taramelli, con spunti per ulteriori ricerche e approfondimenti alla scoperta di uno scienziato ancora oggi insuperato. Docente di Geologia a Pavia, autore della prima Carta sismica italiana e della Carta Geologica d’Italia, Torquato Taramelli è uno studioso da ricordare per la sua straordinaria carriera scientifica e per aiutarci, oggi, a capire il ruolo rivestito nella società dal geologo, figura cruciale ai giorni nostri per uno sviluppo sostenibile. In Digital Library si possono esaminare: La collezione di acquerelli autografi di Taramelli, da lui realizzati "sul campo" a scopo scientifico e come strumento di insegnamento della Geologia, oltre che presentarsi come reperti con evidenti valenze artistiche, oggi afferenti al Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia; Una serie di carte geologiche di proprietà della Biblioteca di Studi Umanistici dell'ateneo, a cui Taramelli lavorò negli anni per contribuire a definire dal punto di vista geologico numerosi territori. Oltre all'Italia completa, si trovano descritti la provincia di Pavia e di Vicenza, il Lago Maggiore e il bacino del Ticino; Una selezione di documenti custoditi dall’Archivio Storico dell’Università a firma del geologo ovvero testimonianze epistolari riferite alla sua carriera di docente all'Università; Una dotazione di cimeli posseduti dal Museo per la Storia dell’Università che testimoniano momenti salienti dell'esistenza di Taramelli come, ad esempio, l'attestato di lode donatogli dai cittadini bergamaschi in occasione del suo 50° anno di attività o la targa commemorativa per il suo ingresso nella Regia Accademia dei Lincei.
Nel 2022, a cento anni dalla scomparsa di Torquato Taramelli, l’Università di Pavia ha celebrato lo scienziato con una mostra allestita presso Kosmos – Museo di Storia naturale dell’ateneo, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia. Il programma di commemorazione di Torquato Taramelli si completa nella Digital Library con una presentazione a tutto tondo del personaggio attraverso una varietà di proposte digitali, un percorso che intende offrire all'utente una panoramica virtuale sulla figura di Taramelli, con spunti per ulteriori ricerche e approfondimenti alla scoperta di uno scienziato ancora oggi insuperato. Docente di Geologia a Pavia, autore della prima Carta sismica italiana e della Carta Geologica d’Italia, Torquato Taramelli è uno studioso da ricordare per la sua straordinaria carriera scientifica e per aiutarci, oggi, a capire il ruolo rivestito nella società dal geologo, figura cruciale ai giorni nostri per uno sviluppo sostenibile. In Digital Library si possono esaminare: La collezione di acquerelli autografi di Taramelli, da lui realizzati "sul campo" a scopo scientifico e come strumento di insegnamento della Geologia, oltre che presentarsi come reperti con evidenti valenze artistiche, oggi afferenti al Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia; Una serie di carte geologiche di proprietà della Biblioteca di Studi Umanistici dell'ateneo, a cui Taramelli lavorò negli anni per contribuire a definire dal punto di vista geologico numerosi territori. Oltre all'Italia completa, si trovano descritti la provincia di Pavia e di Vicenza, il Lago Maggiore e il bacino del Ticino; Una selezione di documenti custoditi dall’Archivio Storico dell’Università a firma del geologo ovvero testimonianze epistolari riferite alla sua carriera di docente all'Università; Una dotazione di cimeli posseduti dal Museo per la Storia dell’Università che testimoniano momenti salienti dell'esistenza di Taramelli come, ad esempio, l'attestato di lode donatogli dai cittadini bergamaschi in occasione del suo 50° anno di attività o la targa commemorativa per il suo ingresso nella Regia Accademia dei Lincei.
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Le raccolte foscoliane del Centro Manoscritti dell'Università di Pavia annoverano la raccolta Acchiappati e la raccolta Ottolini. La prima, donata dal professor Gianfranco Acchiappati in quattro distinte fasi, tra il 1989 e il 1995, consta di una vasta congerie di materiali di diversa tipologia e provenienza (lettere autografe e manoscritti di Ugo Foscolo, di suoi familiari e di suoi contemporanei, edizioni originali e ristampe di opere di e sul Poeta, cimeli) raccolti dal possessore nel corso della vita. La seconda, donata dal dottor Paolo Ottolini nel 1991, consta di 2 lettere autografe del Foscolo e di 84 lettere di familiari del Poeta, raccolte nel corso della vita dal padre, il professor Angelo Ottolini.
Le raccolte foscoliane del Centro Manoscritti dell'Università di Pavia annoverano la raccolta Acchiappati e la raccolta Ottolini. La prima, donata dal professor Gianfranco Acchiappati in quattro distinte fasi, tra il 1989 e il 1995, consta di una vasta congerie di materiali di diversa tipologia e provenienza (lettere autografe e manoscritti di Ugo Foscolo, di suoi familiari e di suoi contemporanei, edizioni originali e ristampe di opere di e sul Poeta, cimeli) raccolti dal possessore nel corso della vita. La seconda, donata dal dottor Paolo Ottolini nel 1991, consta di 2 lettere autografe del Foscolo e di 84 lettere di familiari del Poeta, raccolte nel corso della vita dal padre, il professor Angelo Ottolini.