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Full Name
Pindemonte, Ippolito
 
Person Role
Poeta
Letterato
Traduttore
 
Person Nationality
Italiana
 
Birth Date
13-11-1753
 
Birth Place
 
Death Date
18-11-1828
 
Death Place
 
Biography
Nasce a Verona il 13 novembre 1753 da una famiglia di consolidate tradizioni culturali stabilitasi a Verona, dall’originaria Pistoia, fin dalla seconda metà del Trecento. Scomparso il padre, il giovane Ippolito nel settembre del 1765 entra nel collegio dei Nobili di Modena e a questo periodo risale la composizione dei primi versi: la canzone Sacrifizio di Gefte e il sonetto Eva che specchiasi al fante – entrambi perduti – e un’ecloga dialogata in latino in morte del rettore del collegio. Anche il primo lavoro a stampa, le ottave La salute, è legato all’ambiente del collegio ed è pubblicato in una collettanea di Rime per il sospiratissimo ristabilimento in salute del vescovo di Modena. Tornato a Verona con il fratello, ha come precettori Giuseppe Torelli e Girolamo Pompei; sulla sua formazione ha un forte influsso anche il marchese veronese Michele Enrico Sagramoso, notabile della Massoneria e diplomatico cosmopolita. Nel 1775, traduce in versi e pubblica la Berenice di Racine; nel 1776, pubblica a Verona un’edizione in due tomi delle Poesie scelte volgari e latine del prozio Marcantonio Pindemonte a cui aggiunge, qualche mese dopo, la versione delle Argonautiche lasciata incompiuta dal prozio corredandola di due saggi propri: una sìncresis tra il poema di Valerio Flacco, la Tebaide di Stazio e la Farsaglia di Lucano, e uno scritto sullo Stazio volgare del cardinale Marco Cornelio Bentivoglio d’Aragona. Nel 1778 esce anonima, a Firenze, la sua prima tragedia, l’Ulisse, con alcune Osservazioni contro di essa, che l’autore dedica a una dama (identificabile in Paolina Secco Suardo Grismondi, la Lesbia Cidonia dell’Invito mascheroniano, già sua ospite nella villa di Illasi). È però il 1779 a segnare il vero avvio della carriera letteraria di Pindemonte. Il 4 marzo, nella tappa romana del viaggio in Italia, è accolto in Arcadia, dove assume un nome significativo delle sue aspirazioni di tragediografo, Polidete Melpomenio; qui recitaalcune Stanze composte per l’occasione, stampate nel maggio a Roma con dedica a Lesbia Cidonia. Nell’ambiente intellettuale romano conosce, fra gli altri, Raimondo Cunich, Angelica Kauffmann e Vincenzo Monti. Giunto a Napoli, stringe amicizia con Aurelio de’ Giorgi Bertola e l’ambiente massonico partenopeo, e di lì salpa alla volta di Malta e della Sicilia, per il viaggio navale prescritto dalla militanza gerosolimitana. A questo periodo risale la composizione di due tragedie perdute, I fratelli nemici e Geta e Caracalla, e delle tre prime epistole – a Lesbia Cidonia, alla salonnière veronese Silvia Curtoni Verza e alla ‘dipintrice celeberrima’ Angelica Kauffmann – poi confluite nei Versi di Polidete Melpomenio, editi da Bertola a Bassano nel 1784. Nel 1782 vedono la luce a Verona i due poemetti La Fata Morgana, ispirato al fenomeno ottico osservabile sullo stretto di Messina, e Gibilterra salvata, prima attestazione dell’anglofilia dell’autore, celebrante l’eroica resistenza del generale inglese Elliott contro gli assedianti gallo-ispani. Nel 1783 pubblica a Milano una Dissertazione sul gusto delle belle lettere in Italia, presentata a un altro concorso – bandito dall’Accademia di Mantova e vinto da Matteo Borsa – e poi inclusa, profondamente rielaborata, nell’edizione bassanese (1785) del Volgarizzamento dell’Inno a Cerere scoperto ultimamente e attribuito a Omero. Nel 1784, a Milano, incontra Giuseppe Parini. Acquistata in quell’anno la villa di Avesa, sui colli veronesi, inizia nel 1785 a comporvi le Poesie e le Prose campestri. Delle prime esce un Saggio per i tipi bodoniani nel luglio 1788, introdotto da una Lettera alla signora contessa Teodora da Lisca Pompei di Elisabetta Contarini Mosconi. Il mese successivo parte per un grand tour di quasi un triennio in Svizzera, Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania, Boemia, Moravia e Austria. A Parigi, dove assiste in compagnia di Vittorio Alfieri alla presa della Bastiglia, pubblica il poemetto La Francia (1789), sull’onda delle speranze destate dalla convocazione degli Stati Generali, e compose altri versi ispirati alla Rivoluzione: il sonetto Per l’albero della libertà e l’ode Sopra i sepolcri dei re di Francia nella chiesa di San Dionigi. Al progetto di un «viaggio poetico» sono riconducibili i versi ispirati a luoghi, paesaggi o personaggi visitati (Passando il Mont Cenis; Per la Certosa di Grenoble; Lago di Ginevra; Cascata fra Maglan e Sallenche; Ghiacciaie di Boissons e del Montavert; Ferney, già soggiorno del Signor di Voltaire; Per Gesner; Alla fanciulla Agnese H***; Sul sepolcro di Laura in Avignone; Valchiusa; Sul sepolcro del Petrarca in Arquà). Sulla strada del ritorno, nel 1790 pubblica – anonimo – a Nizza (ma con la data di Londra) l’Abaritte. Storia verissima, palinodia delle giovanili infatuazioni illuministico-massoniche, conte philosophique e Bildungsroman insieme, riedito a Venezia nel 1792. Escono intanto il sermone sui Viaggi (Venezia 1793) e le prime novelle in ottave: l’Antonio Foscarini e Teresa Contarini (in un volume di Novelle cofirmato da Tommaso Gargallo e pubblicato a Napoli da Pietro Napoli Signorelli, 1792) e la Clementina (Venezia 1793). Tra aprile e maggio 1795 vede la luce a Verona il Saggio di prose e poesie campestri. La raccolta si compone di 10 brevi prose, ciascuna introdotta da epigrafi tratte da poeti classici latini e di 12 poesie di vario metro e il poemetto Le quattro parti del giorno (Il Mattino, Il Mezzogiorno, La Sera, La Notte): versi di «mesta armonia» in cui risalta la peculiare cifra poetica pindemontiana, quella ‘bianca malinconia’ (leucocolìa) che cala come velo uniforme su di uno scenario, appunto, ‘campestre’. Le Prose fungono da «complemento e ideale amplificazione descrittiva, riflessiva e digressiva delle Poesie» e meglio di queste esprimono il gusto per la solitudine campestre. Una prima raccolta delle rime varie appare a Pisa nel 1798 (Poesie di Ippolito Pindemonte); una seconda, con lo stesso titolo, a Parma nel 1800, comprensiva anche delle prime quattro epistole. Intanto, senza trascurare le versioni dai classici greco-latini (Proclo, la Batracomiomachia, Ovidio, Platone) e moderni (Milton), riprende il genere tragico, iniziando nel 1797 la stesura dell’Arminio, la tragedia ‘bardita’ pubblicata a Verona soltanto nell’agosto 1804, e componendo l’anno successivo l’Annibale in Capua, dato alle stampe postumo. La quinta edizione dell’Arminio (Verona 1812) recherà anche tre Discorsi teorico-critici (La recitazione scenica e una riforma del teatro; L’Arminio e la poesia tragica; Due lettere di Voltaire su la «Merope» del Maffei), premiati al concorso bandito quell’anno dall’Accademia della Crusca. L’Arminio, la più fortunata delle tragedie pindemontiane, inscena l’incontenibile ambizione di regno del principe cheruscio a dispetto degli altri guerrieri e del popolo; la catastrofe, che ha luogo nella selva di Teutoburgo, conduce a un doppio suicidio. Evidenti gli innesti alfieriani, shakesperiani e ossianici. Intanto, la pubblicazione, a Brescia, nel maggio del 1807, di un carme foscoliano a lui indirizzato, i Sepolcri, gli fa deporre l’idea di un poemetto di quattro canti in ottave su I Cimiteri, abbozzato tra maggio e giugno 1806, inducendolo a rispondere con una sua epistola sui Sepolcri, edita poco dopo a Verona, sempre nel 1807, unitamente al carme foscoliano. Al 1817 data l’edizione definitiva delle Prose e poesie campestri, cui è aggiunta una Dissertazione sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia, già presentata nel 1792 all’Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova e stampata nel volume IV degli Atti accademici, infine raccolta nello stesso 1817 insieme a testi di Pier Luigi Mabil e di Melchiorre Cesarotti nelle Operette di varj autori intorno ai giardini inglesi ossia moderni. Nel 1819 uscirono a Verona la princeps dei Sermoni e la settima edizione dell’Arminio. L’ultimo decennio vede un diradarsi della produzione; non mancano versi di vario impegno e riuscita. Ma due soli sono i lavori di rilievo, entrambi frutto di lunga applicazione: la fortunata versione dell’Odissea, intrapresa fin dal 1805 e pubblicata in due volumi a Verona e Livorno nel 1822 dopo l’anticipazione a stampa dei primi due canti nel 1809, e gli Elogi di letterati italiani, editi a Verona tra il 1825 e il 1826, anch’essi in due volumi. L’Odissea va annoverata tra le prove più significative dell’omerismo neoclassico. Pindemonte muore a Verona il 18 novembre 1828; fu il primo fra i veronesi illustri cui il Municipio decretasse «l’onore della tomba» nell’apposito pantheon.