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Full Name
Mazzini, Giuseppe
 
Person Role
Patriota
Politico
Filosofo
Giornalista
 
Person Nationality
Italiana
 
Birth Date
22-06-1805
 
Birth Year
1805
 
Birth Place
 
Death Date
10-03-1872
 
Death Year
1872
 
Death Place
 
Biography
Nasce a Genova il 22 giugno 1805, unico maschio di quattro figli. Mazzini riceve la prima educazione in famiglia ed entrambi i genitori esercitano un’influenza di fondamentale importanza: la madre gli trasmette un significativo patrimonio di religiosità, sensibilità e rigore morale, mentre il padre – redattore di un foglio giacobino, Il Censore italiano – alimenta in lui spirito rivoluzionario e aspirazioni alla libertà. Per volere della madre, al giovane Giuseppe viene impartita un’istruzione estremamente equilibrata tra materie scientifiche ed umanistiche con l’aggiunta di attività fisiche ed artistiche. Nel 1819, terminati gli studi privati, Mazzini si iscrive alla facoltà letteraria dell’Università di Genova per un corso biennale che lo porterà a frequentare la facoltà di giurisprudenza, dove si laurea il 6 aprile 1827. Gli anni universitari sono particolarmente importanti, sotto molteplici aspetti: per la crescita culturale, favorita da intense letture; per la creazione di una cerchia di seguaci; per il crescente fastidio nei confronti del conformismo politico tipico dell’insegnamento universitario. Nasce così la sua prima attenzione ai fermenti studenteschi che lo vedono coinvolto nel 1820 e nel 1821, quando Mazzini prende parte al corteo richiedente la costituzione al governatore della città. Nel tentativo di far sentire la propria voce e quella degli amici più fidati, nel maggio del 1828 Mazzini si adopera affinchè il foglio commerciale Indicatore genovese ospiti periodicamente recensioni e articoli dedicati tanto alla letteratura italiana quanto a quella straniera, privilegiando il romanzo storico. Si compie così l’adesione definitiva del Mazzini al Romanticismo cui si sposa una visione dell’unità culturale europea la cui matrice era ancora settecentesca e illuministica. Nel 1829, inizia la collaborazione del Mazzini con l’Indicatore livornese su cui appaiono numerosi articoli dedicati a poeti e scrittori del Romanticismo; alla fine dello stesso anno, Mazzini riesce a far accogliere dall’Antologia il saggio D’una letteratura europea, frutto di un lettore ormai chiaramente orientato a scegliere il «segreto vincolo» che unisce l’arte alla vita della nazione e le istituzioni alla condizione della cultura. Legato alla carboneria genovese dal 1827, Il 13 novembre 1830, in seguito a una provocazione poliziesca ordita con la complicità di uno dei capi carbonari, Mazzini viene arrestato e incarcerato nella fortezza di Savona. Liberato per assenza di prove nel gennaio del 1831, Mazzini sceglie la via dell’esilio. Nel febbraio 1831, ha così inizio la sua peregrinazione attraverso la Svizzera dove incontra S. de Sismondi, autore straniero particolarmente apprezzato da Mazzini per la sua capacità di offrire un’immagine non convenzionale dell’Italia. Si dirige poi a Lione, dove si unisce ad altri esuli italiani impegnati nell’organizzazione di una spedizione che, dalla Corsica, avrebbe dovuto portarli in Italia per prestare aiuto agli insorti dei Ducati e delle Legazioni. In questo periodo matura la sua separazione dalla carboneria cui rivolge una critica serrata a causa del suo limitato programma e della sua mancanza di fede politica. Nel 1831 nasce a Marsiglia la Giovine Italia, preceduta da un importante scritto mazziniano e cioè la lettera A Carlo Alberto di Savoia, edita in opuscolo a Marsiglia nel giugno del 1831: rivolgendosi a colui che da poco era diventato re di Sardegna, Mazzini prospetta l’ipotesi di abbracciare il movimento patriottico e di guidarlo fino al conseguimento dell’indipendenza nazionale. Il documento, però, non ottiene la reazione sperata e le autorità sarde dispongono l’arresto del Mazzini nell’eventualità di un suo rientro in Italia. L’ingresso negli Apofasimeni, il rapporto con il giacobino Buonarroti così come l’influenza del sansimonismo e delle posizioni più radicali del repubblicanesimo francese sul pensiero mazziniano rendono ormai evidente l’orientamento del Mazzini verso una concezione rivoluzionaria. In questa prospettiva, la fondazione della Giovine Italia diventa lo strumento attraverso cui attuare quelle speranze concepite nei mesi della detenzione a Savona e ai principi successivamente elaborati a partire da un’attenta analisi delle condizioni generali dell’Italia e della sua storia. Il programma proposto da Mazzini, in opposizione alle misteriose gerarchie e ai segreti del settarismo, dichiara pubblicamente i suoi obiettivi nell’Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia diffusa nella seconda metà del 1831: indipendenza e unità repubblicana della penisola da raggiungersi attraverso l’educazione e l’insurrezione. Nei progetti del Mazzini, lo stadio successivo a quello insurrezionale sarebbe stato «governato da un’autorità provvisoria, dittatoriale, concentrata in un piccol numero d’uomini» in rappresentanza delle zone del Paese insorte: alla cacciata dello straniero sarebbe seguita la rivoluzione vera e propria, cui sarebbe spettato il compito di instaurare il governo repubblicano «quando l’insurrezione avrà vinto» abolendo ogni forma di privilegio e introducendo il principio dell’eguaglianza. Possibilista verso ogni forma di collaborazione, il Mazzini decreta infine una chiusura drastica nei confronti del federalismo, visto come fattore di debolezza interna e come fomentatore dei localismi più gretti. All’inizio del 1832, vede la luce per la prima volta a Marsiglia la rivista La Giovine Italia, pubblicata fino al giugno del 1834 per un totale di sei fascicoli. Diversamente dalle altre teorie rivoluzionarie da cui pure aveva attinto qualche elemento, quella del Mazzini è caratterizzata da un fortissimo contenuto religioso che ne costituisce l’originalità ma, in qualche misura, anche il limite e, per l’identità da lui postulata tra religione e politica, rischia di farne qualcosa di simile a una teocrazia. Nel 1833, sembra finalmente arrivato il momento di mettere alla prova le strutture cospirative della Giovine Italia, penetrate perfino nelle file dell’esercito sabaudo; l’idea di una rivolta a Genova e Alessandria è però bloccata dalla delazione di un congiurato da cui ha origine una lunga serie di arresti e processi conclusisi con dodici esecuzioni capitali. A seguito di questi eventi, Mazzini si convince della necessità di collocare il problema italiano in una dimensione più vasta: Ginevra rappresenta il punto d’incontro ideale per quegli esuli d’ogni parte d’Europa cui poteva interessare l’ipotesi di una santa alleanza dei popoli contrapposta a quella dei re. Ed è su tale sentimento che fa leva Mazzini per convincere, nell’aprile del 1834, i rappresentanti dell’emigrazioni tedesca e polacca a firmare con lui a Berna il patto costitutivo della Giovine Europa. Il febbrile lavoro di coordinamento dei movimenti democratici suscita l’attenzione degli organi di polizia francesi e austriaci; nel maggio 1836, le autorità svizzere dispongono l’arresto di Mazzini e ne decretano l’espulsione. Arrestato una seconda volta in Francia due mesi dopo e autorizzato a partire per l’Inghilterra, torna nuovamente in Svizzera dove, tra Grenchen e Soleure, vive nascosto e ramingo per alcuni mesi, in una condizione psicologica resa ancora più tormentata dalla conclusione della lunga relazione sentimentale con Giuditta Sidoli. Si colloca, in questo scorcio del 1836, il periodo più critico della sua vita, quello che il Mazzini stesso definisce «della tempesta del dubbio», ossia della sofferenza interiore determinata in lui dalla somma di una serie di amarezze pubbliche con quelle personali: la paralisi della Giovine Italia, la stanchezza e la sfiducia di chi gli era rimasto vicino (i fratelli Ruffini), il senso di vanità di tutti i suoi atti e di una impari lotta con il sistema delle potenze coalizzate, il pensiero che da tali atti fosse dipesa la morte di chi gli era stato caro, il timore che all’origine delle sue scelte si potesse sospettare esserci stata l’ambizione personale. Passaggio essenziale del suo percorso di salvazione è, contemporaneamente all’acquisizione irreversibile del senso religioso dell’esistenza, la rinuncia definitiva a ogni aspirazione individuale, a ogni pretesa di felicità. Da allora acquisisce valore per lui solo un principio, lo stesso applicato a ogni altro individuo: «Per Mazzini gli uomini non esistono, per lui esiste una causa, e una sola causa; egli stesso esiste, “vive e si muove” soltanto in essa» . Ancora in preda ai postumi di questa crisi, è costretto a cambiare asilo dalle pressioni diplomatiche di Austria e Francia sulla Svizzera. Si mette allora in viaggio per l’Inghilterra giungendo a Londra con i fratelli Ruffini all’inizio del 1837; qui, inizia a collaborare con alcuni giornali locali. In Westminster Review, in British and Foreign Review, in Tait’s Edinburgh Magazine, in Foreign Quarterly, in Monthly Chronicle appaiono suoi articoli e recensioni riguardanti temi e personaggi della grande letteratura e della pubblicistica europea – Goethe, V. Hugo, La Mennais, George Sand; essi rendono possibile l’ospitalità concessa dalle stesse riviste ad altri scritti più specificamente italiani, in cui spesso Mazzini, servendosi di argomentazioni mai banali, propone una visione polemica del cattolicesimo e della Chiesa di Roma, riuscendo così a suscitare interesse per le condizioni dell’Italia, per la sua storia, per le sue tradizioni artistiche, letterarie e musicali. Un’impresa che gli costa molta fatica e non gli porta nessun guadagno materiale è l’edizione del manoscritto – ritrovato presso un libraio inglese – del commento di Foscolo alla Divina Commedia: manoscritto che tuttavia era incompleto e che viene ultimato dal Mazzini. L’opera in 4 volumi viene pubblicata nel 1842-43 da un editore italiano attivo a Londra, P. Rolandi; nel 1844, sempre di Foscolo, esce a Lugano, per cura e con prefazione del Mazzini, un volume di Scritti politici inediti. L’idea di un ritorno alla militanza politica, mai dismessa sul piano dell’attenzione per l’evoluzione della questione italiana, comincia a farsi avvertire nel 1839. Annunciata da un manifesto datato 30 aprile 1840, rinasce dunque la Giovine Italia, dotata ora di una struttura più capillare e diffusa fin nelle Americhe, di una Congrega centrale di Francia, che attraverso Lamberti teneva i contatti con l’Italia e con gli esuli sparsi nel Mediterraneo, di un personale politico ampiamente rinnovato rispetto alla prima organizzazione. Tornato alla piena attività, il Mazzini respinge l’invito a cooperare nelle vesti di teorico fattogli pervenire da Fabrizi, fondatore nel 1839 della Legione italica, e, forte anche dell’esperienza ricavata dall’osservazione delle coeve agitazioni operaie inglesi e delle forme associative poste in essere dagli esuli polacchi, inizia a indirizzare la propria attenzione verso la condizione dell’emigrazione italiana a Londra. Malgrado il forte impulso dato al proselitismo e la ripresa dei collegamenti con la cospirazione attiva in Italia, la seconda Giovine Italia stenta molto, in parte per l’azione di spie e provocatori che ne limitarono le mosse, in parte anche più notevole per la defezione o la dispersione dei vecchi elementi approdati ora alle sponde del moderatismo giobertiano o filosabaudo. Chiuso sulla scena italiana, il Mazzini punta allora a rioccupare quella europea accreditandosi con un programma teorico che, saldando definitivamente i conti con le ideologie rivoluzionarie più estreme riaffermava il fondamento religioso della politica e il potenziale di libertà collettiva racchiuso nel principio di nazionalità: tesi esposte in un lungo articolo dal titolo Thoughts upon democracy in Europe, pubblicato a puntate in People’s Journal a partire dall’agosto 1846 e a cui segue, al principio del 1847 e su iniziativa dei suoi amici inglesi, la nascita della People’s International League: un organismo che, oltre a rilanciare la linea europeista, sperava potesse risolvere i problemi di finanziamento che lo tormentavano sin da quando era entrato in politica. L’8 febbraio 1849, sbarcato a Livorno, Mazzini viene raggiunto dalla notizia dell’avvenuta proclamazione della Repubblica Romana. Prima di raggiungere Roma, tratta a lungo con la Toscana – ribellatasi al granduca – l’ipotesi di unione tra i due stati che così avrebbero formato un forte polo di aggregazione nell’Italia centrale. Non riuscendo a superare l’opposizione di Guerrazzi, parte per Roma, dove entra il 5 marzo e il 6 pronuncia il suo primo discorso all’assemblea, opponendo sin dall’inizio, all’idea di un’esperienza politica localizzata, il suo disegno di redigere non una costituzione, ma una dichiarazione di principî che esprimesse le ragioni ideali della Repubblica senza sottolinearne il carattere romano; era convinto che si dovessero concentrare tutte le energie nella guerra all’Austria, magari anche aiutando il Piemonte, e su questo, almeno all’inizio, l’assemblea fu d’accordo accettando anche di potenziare su sua richiesta l’esecutivo e ponendolo praticamente a capo del triumvirato. In seguito all’intervento della Francia e delle altre potenze coalizzate per restaurare il potere temporale, il Mazzini comprende subito che Roma repubblicana, diversamente da quanto egli avrebbe voluto, non sarebbe stata la prima tappa dell’emancipazione italiana. Il 3 luglio i Francesi entrano a Roma. Il ritorno in esilio, prima in Svizzera (dove a Losanna rifonda l’Italia del popolo come quindicinale), poi a Parigi e infine di nuovo a Londra, se da un lato lo vede circondato di rispetto per la fiera difesa di Roma e per la linea di politica sociale che pur nei tempi stretti della vita della Repubblica aveva cercato di adottare, dall’altro è accompagnato da un intenso lavoro di riorganizzazione interna e internazionale. In fondo le vicende romane avevano dato ragione alla sua diffidenza verso la Francia e verso la sinistra francese sul cui appoggio aveva inutilmente contato per una iniziativa antinapoleonica capace di bloccare la spedizione su Roma. Tra gli organismi che in questa fase crea per dare continuità alla spinta rivoluzionaria che non riteneva esaurita, quelli che rispondevano meglio alle sue vedute di una sollevazione generale contro il sistema delle potenze erano il Comitato centrale democratico europeo – fondato a Londra nel luglio del 1850 con l’adesione di un rappresentante per la Francia (A.A. Ledru-Rollin), uno per la Germania (A. Ruge) e uno per la Polonia (A. Darasz) e con il successivo ingresso del rumeno D. Bratianu – e il Comitato nazionale italiano, la cui costituzione viene proclamata con un manifesto datato 8 settembre 1850. A partire dal 1850 e fino al 1861 il Mazzini è instancabile nel martellare sulla stampa di partito, nella corrispondenza fittissima, nei contatti con tutti i capi rivoluzionari, una strategia di lotta che nasceva dalla sua visione continentale del problema italiano: la sua risoluzione, infatti, avrebbe innescato a catena altri processi di liberazione nazionale nell’Est europeo con vere e proprie guerre dei popoli oppressi contro i loro oppressori. Al termine del conflitto la carta d’Europa sarebbe stata totalmente ridisegnata secondo linee che, distruggendo gli imperi sovranazionali, avrebbero sancito una volta per tutte il diritto delle genti all’autodeterminazione. Da questo momento Cavour e la sua politica di alleanza con la Francia diventano il principale bersaglio polemico delle recriminazioni del Mazzini, affidate di solito ad articoli ospitati da giornali. Nell’Italia e popolo era apparso il 15 febbraio 1855 l’articolo Al conte di Cavour, scritto in forma di lettera aperta, fiera rampogna contro colui che, entrando nell’alleanza antirussa, aveva distaccato definitivamente il Piemonte dalla prospettiva di farsi interprete del desiderio di riscatto dell’Italia. Incalzare i moderati sulla via dell’unità era il solo modo che gli restava per tentare di reinserirsi nel processo di unificazione ; è quello che tenta di fare scendendo in Italia una prima volta nell’estate del 1859. Arrivato a Napoli il 17 settembre 1860, meno di un mese dopo è oggetto di una manifestazione, voluta probabilmente da Cavour, con cui al grido di «Morte a Mazzini!» si mirava a colpirlo per le pressioni inutilmente esercitate su Garibaldi a favore della convocazione di un’assemblea costituente che decidesse il futuro della Penisola in luogo dei plebisciti. Nel decennio successivo il problema di Garibaldi e della sua determinazione ad anteporre la conquista di Roma alla liberazione del Veneto rappresenta il vero nodo da sciogliere per un Mazzini fermo nella convinzione che, liberandosi definitivamente della presenza austriaca, l’Italia avrebbe potuto più facilmente sbarazzarsi del controllo esercitato da Napoleone III sulla questione romana. Il primo effetto del trionfo garibaldino del 1860 è, per il Mazzini, la necessità di orientare più a Sud che nel passato la sua strategia di lotta: per cui «il mazzinianesimo, che prima dell’Unità non aveva mai avuto salde radici nel Mezzogiorno, divenne poi una formula che acquistò consistenza nella misura in cui, fin dall’inizio, l’“esclusivismo” moderato sembrò frustrare l’aspirazione della piccola borghesia [meridionale] ad ottenere un inserimento soddisfacente nel nuovo Stato» . Per il peso che Garibaldi aveva saputo acquistarsi presso l’opinione pubblica, per il prestigio di cui godeva sul piano internazionale, per la facilità con cui sapeva calamitare quei finanziamenti che a lui erano sempre mancati, il Mazzini è ormai consapevole di non poter rompere con lui malgrado la distanza che ormai li separa; ma tutti gli sforzi compiuti per sottrarlo al carisma di Vittorio Emanuele II e così portarlo dalla sua parte risultano vani, e anzi, sia nel 1862 sia nel 1867, al tempo dei tentativi fermati in Aspromonte e a Mentana, riaccendono l’ira di Garibaldi nei suoi confronti. Pur di attuare la propria linea, il Mazzini si spinge fino a intavolare una trattativa segreta con il re per la liberazione del Veneto, un obiettivo su cui tra il 1864 e il 1865 continua a investire armi e denaro senza ottenere che avesse luogo quell’inizio di conflagrazione generale che teorizzava da tempo e in cui nel 1863 l’insurrezione della Polonia lo aveva indotto a sperare prima che la Russia intervenisse a reprimerla. Non meno importante dell’azione gli sembrava il pensiero. La costruzione del nuovo Stato richiedeva la formazione di una salda coscienza civica, un’etica che ponesse gli Italiani al riparo dall’influsso corruttore della monarchia. A quest’opera di educazione il Mazzini si dedica a partire dal 1861, accettando di pubblicare per l’editore Daelli di Milano una raccolta dei suoi Scritti editi ed inediti da lui curata e recante nei primi otto volumi, pubblicati tra il 1861 e il 1871, una introduzione in cui egli stesso ricostruisce la propria esperienza politico-dottrinale fino al 1853. Ma il vero strumento di formazione del cittadino della nuova Italia il Mazzini lo affida ai Doveri dell’uomo, completando il testo dedicato agli operai, che aveva iniziato a pubblicare a Londra nel 1841 e che con una travagliatissima storia editoriale aveva portato avanti tra il 1859 e il 1860 nelle colonne di due suoi fogli militanti, Pensiero e Azione e L’Unità italiana. In volume il lavoro esce a Lugano nel 1860 con la falsa indicazione di Londra; una seconda edizione si ebbe pochi mesi dopo a Napoli sotto il controllo dello stesso Mazzini. Il raggiungimento dell’Unità e l’attenzione prestata ai problemi e all’organizzazione del movimento operaio non significano affatto una riduzione dell’attività cospirativa del Mazzini, comunque intensissima anche negli ultimi dieci anni. L’abbandono del «terreno legale» da parte del Mazzini si manifesta con l’intenso lavorio condotto da due organizzazioni segrete, la Falange sacra e l’Alleanza repubblicana (poi denominata universale per via di alcuni contatti con i repubblicani statunitensi), la seconda delle quali fondata nel 1866 all’indomani della guerra per il Veneto, con l’intento di sottrarre a una monarchia da lui giudicata del tutto estranea alla storia nazionale il compito di portare l’Italia a Roma. Ma le trame insurrezionali che tenta di mettere in piedi con le bande armate o con gli ammutinamenti di militari falliscono tutte provocando altri arresti e una vittima. Con un ultimo sforzo di combattività, l’11 agosto 1870 il Mazzini si mette in viaggio per la Sicilia con la speranza di guidare personalmente l’ennesimo tentativo repubblicano, ma, arrestato al momento dello sbarco a Palermo, è incarcerato il 14 agosto nel forte militare di Gaeta e liberato il 14 ottobre in seguito all’amnistia concessa ai detenuti politici dopo la liberazione di Roma. Nei due mesi di carcere la vera angoscia gli era derivata dal constatare l’inesistenza nel popolo italiano dell’istinto rivoluzionario di cui lo aveva sempre creduto capace. Logoro e da tempo gravemente malato, consuma le residue energie fisiche in una febbrile attività giornalistica pubblicando nel suo settimanale Roma del popolo, una lunga serie di interventi a difesa delle posizioni – l’antimaterialismo, lo spirito religioso, la lotta all’Internazionale, la dignità dei lavoratori, il principio di nazionalità, la missione dell’Italia – che vedeva sempre più esposte ai colpi dell’anarchismo e del marxismo. In cerca di un clima più adatto alla sua malandata salute, il 6 febbraio 1872 il Mazzini si trasferisce a Pisa, ospite di Janet Nathan Rosselli. Non essendo inseguito più da mandati di cattura, non avrebbe avuto problemi a manifestarsi pubblicamente; al dottore chiamato a curarlo per una crisi di asma preferisce invece presentarsi sotto mentite spoglie, con un nome inglese. È con questa falsa identità che il Mazzini, assistito da pochi amici e seguaci, muore a Pisa il 10 marzo 1872.