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La collezione di monete romane repubblicane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è degna di pregio, costituisce senz’altro un buon fondamento per una collezione d’intento didattico e permette un buon inquadramento della storia della monetazione della Repubblica Romana. La raccolta è significativa per la completezza della serie e spesso presenta un’abbondanza di esemplari della stessa emissione, particolarità derivante probabilmente dall’origine della collezione da donazioni di diversi collezionisti.
La collezione di monete romane repubblicane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è degna di pregio, costituisce senz’altro un buon fondamento per una collezione d’intento didattico e permette un buon inquadramento della storia della monetazione della Repubblica Romana. La raccolta è significativa per la completezza della serie e spesso presenta un’abbondanza di esemplari della stessa emissione, particolarità derivante probabilmente dall’origine della collezione da donazioni di diversi collezionisti.
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Pervenuto nell’attuale sede della Biblioteca di Arte dell’Ateneo pavese (già Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pavia e ora sezione della Biblioteca di Studi umanistici) nel 1968, subito dopo la scomparsa del suo proprietario, Wart Arslan, docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’ateneo pavese dal 1942 al 1968, il fondo, raccolto in circa 270 scatole, è composto da materiale eterogeneo: estratti bibliografici, annate di riviste, appunti manoscritti e dattiloscritti, corrispondenza epistolare, fotografie e ritagli di libri o di riviste. Nel suo insieme esso testimonia l’attività scientifica e didattica del professor Arslan, a partire dagli anni Trenta del Novecento, e documenta l’ampiezza dei suoi interessi di studioso, che spaziano dall’architettura romanica e preromanica alla pittura del Settecento, con particolare riguardo all’area veneta e lombarda. Al momento della donazione all’Università la vasta raccolta rispettava la suddivisione, voluta dal professore, in quattro grandi categorie: estratti bibliografici, riviste, fotografie e stampe e infine appunti manoscritti e dattiloscritti e materiale miscellaneo, tra cui la corrispondenza (“Varie. Lettere su cose d’arte”). Ogni categoria, ad eccezione di quella delle riviste, era stata poi organizzata per secoli ed aree geografiche. Trasferito nel corso degli anni Novanta del secolo scorso in locali di pertinenza della Biblioteca di Lettere (già cortile del Leano del palazzo centrale), l’archivio nel 2018 è ritornato nella Biblioteca di arte. Risale molto probabilmente agli anni immediatamente successivi alla donazione del fondo la prima catalogazione di una parte delle fotografie che, prelevate dalle scatole originarie, sono state incollate su schede cartacee e ordinate in classificatori metallici, per facilitarne la consultazione. Altre foto si trovano ancora sciolte all’interno dei classificatori. Il riordino avviato ha l’obiettivo di rendere disponibile alla consultazione l’intero fondo, tramite l’inventariazione dei materiali bibliografici e il loro inserimento nell’OPAC di Ateneo e la digitalizzazione dei materiali più fragili, quali manoscritti, dattiloscritti, fotografie e ritagli, che andranno a costituire una banca dati, a partire dalla quale si possa ricomporre l’archivio di studio e ricerca di Wart, rendendolo contemporaneamente disponibile alla consultazione.
Pervenuto nell’attuale sede della Biblioteca di Arte dell’Ateneo pavese (già Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pavia e ora sezione della Biblioteca di Studi umanistici) nel 1968, subito dopo la scomparsa del suo proprietario, Wart Arslan, docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’ateneo pavese dal 1942 al 1968, il fondo, raccolto in circa 270 scatole, è composto da materiale eterogeneo: estratti bibliografici, annate di riviste, appunti manoscritti e dattiloscritti, corrispondenza epistolare, fotografie e ritagli di libri o di riviste. Nel suo insieme esso testimonia l’attività scientifica e didattica del professor Arslan, a partire dagli anni Trenta del Novecento, e documenta l’ampiezza dei suoi interessi di studioso, che spaziano dall’architettura romanica e preromanica alla pittura del Settecento, con particolare riguardo all’area veneta e lombarda. Al momento della donazione all’Università la vasta raccolta rispettava la suddivisione, voluta dal professore, in quattro grandi categorie: estratti bibliografici, riviste, fotografie e stampe e infine appunti manoscritti e dattiloscritti e materiale miscellaneo, tra cui la corrispondenza (“Varie. Lettere su cose d’arte”). Ogni categoria, ad eccezione di quella delle riviste, era stata poi organizzata per secoli ed aree geografiche. Trasferito nel corso degli anni Novanta del secolo scorso in locali di pertinenza della Biblioteca di Lettere (già cortile del Leano del palazzo centrale), l’archivio nel 2018 è ritornato nella Biblioteca di arte. Risale molto probabilmente agli anni immediatamente successivi alla donazione del fondo la prima catalogazione di una parte delle fotografie che, prelevate dalle scatole originarie, sono state incollate su schede cartacee e ordinate in classificatori metallici, per facilitarne la consultazione. Altre foto si trovano ancora sciolte all’interno dei classificatori. Il riordino avviato ha l’obiettivo di rendere disponibile alla consultazione l’intero fondo, tramite l’inventariazione dei materiali bibliografici e il loro inserimento nell’OPAC di Ateneo e la digitalizzazione dei materiali più fragili, quali manoscritti, dattiloscritti, fotografie e ritagli, che andranno a costituire una banca dati, a partire dalla quale si possa ricomporre l’archivio di studio e ricerca di Wart, rendendolo contemporaneamente disponibile alla consultazione.
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Il Gabinetto di Fisica dell'Ottocento ospita gli strumenti raccolti dai successori di Alessandro Volta (1745-1827) alla cattedra di Fisica dell'ateneo pavese fino alla metà degli anni trenta del XX secolo, quando l'Istituto di Fisica fu spostato, come altri istituti scientifici, dal palazzo centrale dell'Università all'attuale sede. La collezione è una testimonianza di come le attività di ricerca e di didattica in fisica sperimentale rimasero intense anche dopo la morte del fisico comasco. Volta lasciò la cattedra di Fisica nel 1804 a Pietro Configliachi (1777-1844) ma continuò a lavorare a Pavia e ad interessarsi dell'incremento del Gabinetto di Fisica. L'ultimo inventario che contiene la firma di Volta risale al 1819. Tra i successori di Volta si deve ricordare in particolare Giuseppe Belli (1791-1860), che diresse il Gabinetto intorno alla metà del XIX secolo e arricchì notevolmente la collezione, anche con diversi apparecchi di sua invenzione. La dimensione della collezione già all'epoca del Belli era nota
Il Gabinetto di Fisica dell'Ottocento ospita gli strumenti raccolti dai successori di Alessandro Volta (1745-1827) alla cattedra di Fisica dell'ateneo pavese fino alla metà degli anni trenta del XX secolo, quando l'Istituto di Fisica fu spostato, come altri istituti scientifici, dal palazzo centrale dell'Università all'attuale sede. La collezione è una testimonianza di come le attività di ricerca e di didattica in fisica sperimentale rimasero intense anche dopo la morte del fisico comasco. Volta lasciò la cattedra di Fisica nel 1804 a Pietro Configliachi (1777-1844) ma continuò a lavorare a Pavia e ad interessarsi dell'incremento del Gabinetto di Fisica. L'ultimo inventario che contiene la firma di Volta risale al 1819. Tra i successori di Volta si deve ricordare in particolare Giuseppe Belli (1791-1860), che diresse il Gabinetto intorno alla metà del XIX secolo e arricchì notevolmente la collezione, anche con diversi apparecchi di sua invenzione. La dimensione della collezione già all'epoca del Belli era nota
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Rientrano in questa sezione varie pubblicazioni realizzate dal Centro Manoscritti dell'Università di Pavia nel corso della sua attività, come inventari e cataloghi di mostre
Rientrano in questa sezione varie pubblicazioni realizzate dal Centro Manoscritti dell'Università di Pavia nel corso della sua attività, come inventari e cataloghi di mostre
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Il Museo per la Storia dell’Università possiede una collezione di strumenti utilizzati per la ricerca e le osservazioni microscopiche, comprendente differenti modelli di microscopi (semplici e composti) e di microtomi, databili tra l’ultimo quarto del Settecento e i primi venti anni del Novecento. Il valore storico di alcuni di essi è accresciuto dal nome dei loro utilizzatori - scienziati legati all’Ateneo pavese quali Antonio Scarpa, Bartolomeo Panizza, Camillo Golgi, Adelchi Negri - o del loro costruttore (da segnalare alcuni pezzi realizzati da Giovanni Battista Amici). Sono inoltre presenti piccole collezioni di vetrini istologici e patologici riconducibili agli studi e all’attività di Eusebio Oehl, Carlo Forlanini e Camillo Golgi.
Il Museo per la Storia dell’Università possiede una collezione di strumenti utilizzati per la ricerca e le osservazioni microscopiche, comprendente differenti modelli di microscopi (semplici e composti) e di microtomi, databili tra l’ultimo quarto del Settecento e i primi venti anni del Novecento. Il valore storico di alcuni di essi è accresciuto dal nome dei loro utilizzatori - scienziati legati all’Ateneo pavese quali Antonio Scarpa, Bartolomeo Panizza, Camillo Golgi, Adelchi Negri - o del loro costruttore (da segnalare alcuni pezzi realizzati da Giovanni Battista Amici). Sono inoltre presenti piccole collezioni di vetrini istologici e patologici riconducibili agli studi e all’attività di Eusebio Oehl, Carlo Forlanini e Camillo Golgi.
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Il Museo Camillo Golgi espone una serie di strumenti utilizzati per le ricerche microscopiche nel laboratorio di Istologia e Patologia generale tra l’ultimo quarto del XIX e gli inizi del XX secolo. Si tratta di microscopi, microtomi e apparecchi per il disegno e la fotografia utilizzati all’interno del laboratorio da Camillo Golgi e dai suoi collaboratori e successori. Gli strumenti si legano agli studi e alle scoperte compiute da medici e scienziati di grande rilievo quali Adelchi Negri, Emilio Veratti, Aldo Perroncito. Alcuni oggetti del laboratorio legati a personaggi di spicco, primo fra tutti Golgi, confluirono, negli anni 30’ del secolo scorso, nella collezione di strumenti legati alle ricerche microscopiche oggi conservata presso il Museo per la Storia dell’Università strettamente connessa a quella preservata dal Museo Camillo Golgi.
Il Museo Camillo Golgi espone una serie di strumenti utilizzati per le ricerche microscopiche nel laboratorio di Istologia e Patologia generale tra l’ultimo quarto del XIX e gli inizi del XX secolo. Si tratta di microscopi, microtomi e apparecchi per il disegno e la fotografia utilizzati all’interno del laboratorio da Camillo Golgi e dai suoi collaboratori e successori. Gli strumenti si legano agli studi e alle scoperte compiute da medici e scienziati di grande rilievo quali Adelchi Negri, Emilio Veratti, Aldo Perroncito. Alcuni oggetti del laboratorio legati a personaggi di spicco, primo fra tutti Golgi, confluirono, negli anni 30’ del secolo scorso, nella collezione di strumenti legati alle ricerche microscopiche oggi conservata presso il Museo per la Storia dell’Università strettamente connessa a quella preservata dal Museo Camillo Golgi.
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Il Gabinetto di Fisica dell'Università di Pavia fu fondato nel 1771, grazie alla riforma degli studi avviata da Maria Teresa d'Austria e portata avanti dal figlio e successore, l’imperatore Giuseppe II. Il primo direttore fu il padre scolopio Carlo Barletti, che alla fine del 1772 venne nominato professore di Fisica sperimentale all'Università. All'arrivo di Alessandro Volta a Pavia, nel 1778, Barletti divenne responsabile dell'insegnamento di Fisica classica o generale, mentre Volta ricoprì quello di Fisica sperimentale o particolare. La prima includeva statica, dinamica, idrostatica, idraulica e fisica astronomica, che formavano la parte più matematizzata della fisica. La seconda, che riguardava i fenomeni concernenti elettricità, magnetismo, calore, pneumatica, acustica, meteorologia e ottica, era più fenomenologica e sperimentale. Volta arricchì il Gabinetto con numerosi strumenti acquistati durante i suoi viaggi in Europa e con molti altri da lui stesso ideati e realizzati con l'ausilio di validissimi artigiani. Il gabinetto di Fisica divenne non soltanto un posto dove Volta potesse sperimentare e insegnare, ma anche una sala da esposizione e un attraente teatro che doveva impressionare i visitatori. Molti degli strumenti venivano infatti utilizzati da Volta, oltre che per attività di ricerca, anche per esperienze pubbliche, tenute due volte la settimana, da dicembre a giugno. A queste partecipavano, insieme con gli studenti (per i quali il Professore teneva lezioni quotidiane), numerosi spettatori, per cui venne appositamente costruito nell'Ateneo pavese un nuovo e più ampio Teatro Fisico, l'odierna Aula Volta. Nel 1804, Volta lasciò ufficialmente la cattedra a Pietro Configliachi, ma continuò a lavorare a Pavia e a mostrare interesse verso i nuovi strumenti. Nel 1819, l'ultimo inventario firmato da Volta attesta la presenza nel Gabinetto di Fisica di circa seicento strumenti. Non tutti questi strumenti sono giunti sino a noi: alcuni andarono infatti distrutti nell'incendio del padiglione della mostra allestita a Como nel 1899 per il centenario dell'invenzione della pila, altri furono distrutti dall'uso o andarono persi nei traslochi succedutisi nel corso degli anni, l'ultimo dei quali imposto dalla Seconda Guerra Mondiale.
Il Gabinetto di Fisica dell'Università di Pavia fu fondato nel 1771, grazie alla riforma degli studi avviata da Maria Teresa d'Austria e portata avanti dal figlio e successore, l’imperatore Giuseppe II. Il primo direttore fu il padre scolopio Carlo Barletti, che alla fine del 1772 venne nominato professore di Fisica sperimentale all'Università. All'arrivo di Alessandro Volta a Pavia, nel 1778, Barletti divenne responsabile dell'insegnamento di Fisica classica o generale, mentre Volta ricoprì quello di Fisica sperimentale o particolare. La prima includeva statica, dinamica, idrostatica, idraulica e fisica astronomica, che formavano la parte più matematizzata della fisica. La seconda, che riguardava i fenomeni concernenti elettricità, magnetismo, calore, pneumatica, acustica, meteorologia e ottica, era più fenomenologica e sperimentale. Volta arricchì il Gabinetto con numerosi strumenti acquistati durante i suoi viaggi in Europa e con molti altri da lui stesso ideati e realizzati con l'ausilio di validissimi artigiani. Il gabinetto di Fisica divenne non soltanto un posto dove Volta potesse sperimentare e insegnare, ma anche una sala da esposizione e un attraente teatro che doveva impressionare i visitatori. Molti degli strumenti venivano infatti utilizzati da Volta, oltre che per attività di ricerca, anche per esperienze pubbliche, tenute due volte la settimana, da dicembre a giugno. A queste partecipavano, insieme con gli studenti (per i quali il Professore teneva lezioni quotidiane), numerosi spettatori, per cui venne appositamente costruito nell'Ateneo pavese un nuovo e più ampio Teatro Fisico, l'odierna Aula Volta. Nel 1804, Volta lasciò ufficialmente la cattedra a Pietro Configliachi, ma continuò a lavorare a Pavia e a mostrare interesse verso i nuovi strumenti. Nel 1819, l'ultimo inventario firmato da Volta attesta la presenza nel Gabinetto di Fisica di circa seicento strumenti. Non tutti questi strumenti sono giunti sino a noi: alcuni andarono infatti distrutti nell'incendio del padiglione della mostra allestita a Como nel 1899 per il centenario dell'invenzione della pila, altri furono distrutti dall'uso o andarono persi nei traslochi succedutisi nel corso degli anni, l'ultimo dei quali imposto dalla Seconda Guerra Mondiale.
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Il complesso di monete preromane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è ridotto numericamente e per certi settori ripetitivo, ma appare degno di interesse, non solo per il numero cospicuo di Dramme padane, ma anche per alcuni degli esemplari transalpini, abbastanza inconsueti nelle collezioni italiane. La composizione del nucleo “padano”, in assenza di indicazioni precise ed affidabili di provenienza, non permette di ipotizzare un recupero locale, nel pavese, delle singole monete. Sono interessanti i pochi esemplari orientali. Le monete dei Celti orientali sono molto rare nei medaglieri in Italia. Sulle emissioni dell’Italia Cisalpina risulta pesante l’influsso della monetazione greca, mentre nella Gallia propria appare decisiva l’influenza della moneta romana.
Il complesso di monete preromane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è ridotto numericamente e per certi settori ripetitivo, ma appare degno di interesse, non solo per il numero cospicuo di Dramme padane, ma anche per alcuni degli esemplari transalpini, abbastanza inconsueti nelle collezioni italiane. La composizione del nucleo “padano”, in assenza di indicazioni precise ed affidabili di provenienza, non permette di ipotizzare un recupero locale, nel pavese, delle singole monete. Sono interessanti i pochi esemplari orientali. Le monete dei Celti orientali sono molto rare nei medaglieri in Italia. Sulle emissioni dell’Italia Cisalpina risulta pesante l’influsso della monetazione greca, mentre nella Gallia propria appare decisiva l’influenza della moneta romana.
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Il Museo Camillo Golgi conserva una collezione di 60 stampe e 12 lastre fotografiche che testimoniano il prestigio di cui godeva, in Italia e all’estero, Camillo Golgi. Gli scatti lo ritraggono in occasione di convegni internazionali, viaggi scientifici, per il ricevimento di premi e onorificenze. Del corpus fa parte anche una serie di carte de visite, ritratti di scienziati e colleghi donati a Golgi e all’Istituto di Patologia Generale da lui diretto in segno di stima e affetto. Di non minore interesse sono le fotografie che catturano momenti privati della vita del celebre scienziato, in compagnia della moglie, dei familiari o degli amici. La collezione è stata catalogata e restaurata nel 2019.
Il Museo Camillo Golgi conserva una collezione di 60 stampe e 12 lastre fotografiche che testimoniano il prestigio di cui godeva, in Italia e all’estero, Camillo Golgi. Gli scatti lo ritraggono in occasione di convegni internazionali, viaggi scientifici, per il ricevimento di premi e onorificenze. Del corpus fa parte anche una serie di carte de visite, ritratti di scienziati e colleghi donati a Golgi e all’Istituto di Patologia Generale da lui diretto in segno di stima e affetto. Di non minore interesse sono le fotografie che catturano momenti privati della vita del celebre scienziato, in compagnia della moglie, dei familiari o degli amici. La collezione è stata catalogata e restaurata nel 2019.