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La collezione di monete romane repubblicane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è degna di pregio, costituisce senz’altro un buon fondamento per una collezione d’intento didattico e permette un buon inquadramento della storia della monetazione della Repubblica Romana. La raccolta è significativa per la completezza della serie e spesso presenta un’abbondanza di esemplari della stessa emissione, particolarità derivante probabilmente dall’origine della collezione da donazioni di diversi collezionisti.
La collezione di monete romane repubblicane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è degna di pregio, costituisce senz’altro un buon fondamento per una collezione d’intento didattico e permette un buon inquadramento della storia della monetazione della Repubblica Romana. La raccolta è significativa per la completezza della serie e spesso presenta un’abbondanza di esemplari della stessa emissione, particolarità derivante probabilmente dall’origine della collezione da donazioni di diversi collezionisti.
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Il Gabinetto di Fisica dell'Ottocento ospita gli strumenti raccolti dai successori di Alessandro Volta (1745-1827) alla cattedra di Fisica dell'ateneo pavese fino alla metà degli anni trenta del XX secolo, quando l'Istituto di Fisica fu spostato, come altri istituti scientifici, dal palazzo centrale dell'Università all'attuale sede. La collezione è una testimonianza di come le attività di ricerca e di didattica in fisica sperimentale rimasero intense anche dopo la morte del fisico comasco. Volta lasciò la cattedra di Fisica nel 1804 a Pietro Configliachi (1777-1844) ma continuò a lavorare a Pavia e ad interessarsi dell'incremento del Gabinetto di Fisica. L'ultimo inventario che contiene la firma di Volta risale al 1819. Tra i successori di Volta si deve ricordare in particolare Giuseppe Belli (1791-1860), che diresse il Gabinetto intorno alla metà del XIX secolo e arricchì notevolmente la collezione, anche con diversi apparecchi di sua invenzione. La dimensione della collezione già all'epoca del Belli era nota
Il Gabinetto di Fisica dell'Ottocento ospita gli strumenti raccolti dai successori di Alessandro Volta (1745-1827) alla cattedra di Fisica dell'ateneo pavese fino alla metà degli anni trenta del XX secolo, quando l'Istituto di Fisica fu spostato, come altri istituti scientifici, dal palazzo centrale dell'Università all'attuale sede. La collezione è una testimonianza di come le attività di ricerca e di didattica in fisica sperimentale rimasero intense anche dopo la morte del fisico comasco. Volta lasciò la cattedra di Fisica nel 1804 a Pietro Configliachi (1777-1844) ma continuò a lavorare a Pavia e ad interessarsi dell'incremento del Gabinetto di Fisica. L'ultimo inventario che contiene la firma di Volta risale al 1819. Tra i successori di Volta si deve ricordare in particolare Giuseppe Belli (1791-1860), che diresse il Gabinetto intorno alla metà del XIX secolo e arricchì notevolmente la collezione, anche con diversi apparecchi di sua invenzione. La dimensione della collezione già all'epoca del Belli era nota
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Il Gabinetto di Fisica dell'Università di Pavia fu fondato nel 1771, grazie alla riforma degli studi avviata da Maria Teresa d'Austria e portata avanti dal figlio e successore, l’imperatore Giuseppe II. Il primo direttore fu il padre scolopio Carlo Barletti, che alla fine del 1772 venne nominato professore di Fisica sperimentale all'Università. All'arrivo di Alessandro Volta a Pavia, nel 1778, Barletti divenne responsabile dell'insegnamento di Fisica classica o generale, mentre Volta ricoprì quello di Fisica sperimentale o particolare. La prima includeva statica, dinamica, idrostatica, idraulica e fisica astronomica, che formavano la parte più matematizzata della fisica. La seconda, che riguardava i fenomeni concernenti elettricità, magnetismo, calore, pneumatica, acustica, meteorologia e ottica, era più fenomenologica e sperimentale. Volta arricchì il Gabinetto con numerosi strumenti acquistati durante i suoi viaggi in Europa e con molti altri da lui stesso ideati e realizzati con l'ausilio di validissimi artigiani. Il gabinetto di Fisica divenne non soltanto un posto dove Volta potesse sperimentare e insegnare, ma anche una sala da esposizione e un attraente teatro che doveva impressionare i visitatori. Molti degli strumenti venivano infatti utilizzati da Volta, oltre che per attività di ricerca, anche per esperienze pubbliche, tenute due volte la settimana, da dicembre a giugno. A queste partecipavano, insieme con gli studenti (per i quali il Professore teneva lezioni quotidiane), numerosi spettatori, per cui venne appositamente costruito nell'Ateneo pavese un nuovo e più ampio Teatro Fisico, l'odierna Aula Volta. Nel 1804, Volta lasciò ufficialmente la cattedra a Pietro Configliachi, ma continuò a lavorare a Pavia e a mostrare interesse verso i nuovi strumenti. Nel 1819, l'ultimo inventario firmato da Volta attesta la presenza nel Gabinetto di Fisica di circa seicento strumenti. Non tutti questi strumenti sono giunti sino a noi: alcuni andarono infatti distrutti nell'incendio del padiglione della mostra allestita a Como nel 1899 per il centenario dell'invenzione della pila, altri furono distrutti dall'uso o andarono persi nei traslochi succedutisi nel corso degli anni, l'ultimo dei quali imposto dalla Seconda Guerra Mondiale.
Il Gabinetto di Fisica dell'Università di Pavia fu fondato nel 1771, grazie alla riforma degli studi avviata da Maria Teresa d'Austria e portata avanti dal figlio e successore, l’imperatore Giuseppe II. Il primo direttore fu il padre scolopio Carlo Barletti, che alla fine del 1772 venne nominato professore di Fisica sperimentale all'Università. All'arrivo di Alessandro Volta a Pavia, nel 1778, Barletti divenne responsabile dell'insegnamento di Fisica classica o generale, mentre Volta ricoprì quello di Fisica sperimentale o particolare. La prima includeva statica, dinamica, idrostatica, idraulica e fisica astronomica, che formavano la parte più matematizzata della fisica. La seconda, che riguardava i fenomeni concernenti elettricità, magnetismo, calore, pneumatica, acustica, meteorologia e ottica, era più fenomenologica e sperimentale. Volta arricchì il Gabinetto con numerosi strumenti acquistati durante i suoi viaggi in Europa e con molti altri da lui stesso ideati e realizzati con l'ausilio di validissimi artigiani. Il gabinetto di Fisica divenne non soltanto un posto dove Volta potesse sperimentare e insegnare, ma anche una sala da esposizione e un attraente teatro che doveva impressionare i visitatori. Molti degli strumenti venivano infatti utilizzati da Volta, oltre che per attività di ricerca, anche per esperienze pubbliche, tenute due volte la settimana, da dicembre a giugno. A queste partecipavano, insieme con gli studenti (per i quali il Professore teneva lezioni quotidiane), numerosi spettatori, per cui venne appositamente costruito nell'Ateneo pavese un nuovo e più ampio Teatro Fisico, l'odierna Aula Volta. Nel 1804, Volta lasciò ufficialmente la cattedra a Pietro Configliachi, ma continuò a lavorare a Pavia e a mostrare interesse verso i nuovi strumenti. Nel 1819, l'ultimo inventario firmato da Volta attesta la presenza nel Gabinetto di Fisica di circa seicento strumenti. Non tutti questi strumenti sono giunti sino a noi: alcuni andarono infatti distrutti nell'incendio del padiglione della mostra allestita a Como nel 1899 per il centenario dell'invenzione della pila, altri furono distrutti dall'uso o andarono persi nei traslochi succedutisi nel corso degli anni, l'ultimo dei quali imposto dalla Seconda Guerra Mondiale.
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Il complesso di monete preromane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è ridotto numericamente e per certi settori ripetitivo, ma appare degno di interesse, non solo per il numero cospicuo di Dramme padane, ma anche per alcuni degli esemplari transalpini, abbastanza inconsueti nelle collezioni italiane. La composizione del nucleo “padano”, in assenza di indicazioni precise ed affidabili di provenienza, non permette di ipotizzare un recupero locale, nel pavese, delle singole monete. Sono interessanti i pochi esemplari orientali. Le monete dei Celti orientali sono molto rare nei medaglieri in Italia. Sulle emissioni dell’Italia Cisalpina risulta pesante l’influsso della monetazione greca, mentre nella Gallia propria appare decisiva l’influenza della moneta romana.
Il complesso di monete preromane del Museo di Archeologia dell’Università di Pavia è ridotto numericamente e per certi settori ripetitivo, ma appare degno di interesse, non solo per il numero cospicuo di Dramme padane, ma anche per alcuni degli esemplari transalpini, abbastanza inconsueti nelle collezioni italiane. La composizione del nucleo “padano”, in assenza di indicazioni precise ed affidabili di provenienza, non permette di ipotizzare un recupero locale, nel pavese, delle singole monete. Sono interessanti i pochi esemplari orientali. Le monete dei Celti orientali sono molto rare nei medaglieri in Italia. Sulle emissioni dell’Italia Cisalpina risulta pesante l’influsso della monetazione greca, mentre nella Gallia propria appare decisiva l’influenza della moneta romana.
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Il Museo Camillo Golgi conserva una collezione di 60 stampe e 12 lastre fotografiche che testimoniano il prestigio di cui godeva, in Italia e all’estero, Camillo Golgi. Gli scatti lo ritraggono in occasione di convegni internazionali, viaggi scientifici, per il ricevimento di premi e onorificenze. Del corpus fa parte anche una serie di carte de visite, ritratti di scienziati e colleghi donati a Golgi e all’Istituto di Patologia Generale da lui diretto in segno di stima e affetto. Di non minore interesse sono le fotografie che catturano momenti privati della vita del celebre scienziato, in compagnia della moglie, dei familiari o degli amici. La collezione è stata catalogata e restaurata nel 2019.
Il Museo Camillo Golgi conserva una collezione di 60 stampe e 12 lastre fotografiche che testimoniano il prestigio di cui godeva, in Italia e all’estero, Camillo Golgi. Gli scatti lo ritraggono in occasione di convegni internazionali, viaggi scientifici, per il ricevimento di premi e onorificenze. Del corpus fa parte anche una serie di carte de visite, ritratti di scienziati e colleghi donati a Golgi e all’Istituto di Patologia Generale da lui diretto in segno di stima e affetto. Di non minore interesse sono le fotografie che catturano momenti privati della vita del celebre scienziato, in compagnia della moglie, dei familiari o degli amici. La collezione è stata catalogata e restaurata nel 2019.
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Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) progettò un’ampia collezione di strumenti da utilizzare per la preparazione pratica degli allievi chirurghi destinati a prestare servizio nelle armate asburgiche. La realizzazione dello strumentario fu affidata al coltellinaio viennese Joseph Malliard o Maliar (1748- 1814), che lavorò sulla base di modelli di manifattura francese e inglese, e delle tavole del volume Instrumentarium chirurgicum militare Austriacum, pubblicato da Brambilla in tedesco nel 1780 e in latino nel 1782. Una grande collezione venne costruita per Vienna, mentre raccolte minori furono inviate Firenze e a Pavia. Una selezione di strumenti fu spedita anche in Russia. Trentasei cassette di ferri chirurgici giunsero in dono da Vienna a Pavia intorno nel 1786. Nel 1845 l’Inventario dei mobili e delle suppellettili scientifiche appartenenti all’armamentario chirurgico (oggi conservato all’Archivio di Stato di Pavia, Antico archivio dell’Università, Rettorato, 161) riporta l’esistenza di trentaquattro scatole, comprese tra gli strumenti antichi. Quando, negli anni trenta del Novecento, la clinica chirurgica si trasferì nella nuova sede del Policlinico, l’antica raccolta (che constava al tempo solo di alcune cassette e di ferri sciolti) pervenne al Museo per la storia dell’Università. Negli anni settanta la collezione fu restaurata e riorganizzata tentando di ricostruirne l’assetto originario. La raccolta è attualmente costituita da trenta cassette di legno, tutte prive del coperchio, ricoperte esternamente di pelle rossa e dotate internamente di una base rivestita di velluto verde, nella quale si trovano degli alloggiamenti sagomati e spesso bordati di passamaneria dorata per accogliere i vari strumenti, costruiti in acciaio, avorio e altri materiali di pregio. Singole cassette - o gruppi di due o più di esse - sono dedicate a particolari tipi di operazioni (ad esempio interventi al cranio, salasso, parto, amputazioni, litotomia, estrazione di proiettili). A queste cassette si devono aggiungere altre otto scatole che contengono una miscellanea di strumenti, anch’essi riconducibili all’ambiente viennese e all’operato di Brambilla. Sei hanno foggia del tutto identica, salvo che in esse è ancora presente il coperchio. Altre due scatole sono invece rivestite in pelle scura e foderate con una grezza stoffa verde (forse in sostituzione di un precedente velluto rosso, ancora presente all’interno del coperchio). Nel complesso la collezione offre un quadro degli interventi e delle tecniche chirurgiche in uso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) progettò un’ampia collezione di strumenti da utilizzare per la preparazione pratica degli allievi chirurghi destinati a prestare servizio nelle armate asburgiche. La realizzazione dello strumentario fu affidata al coltellinaio viennese Joseph Malliard o Maliar (1748- 1814), che lavorò sulla base di modelli di manifattura francese e inglese, e delle tavole del volume Instrumentarium chirurgicum militare Austriacum, pubblicato da Brambilla in tedesco nel 1780 e in latino nel 1782. Una grande collezione venne costruita per Vienna, mentre raccolte minori furono inviate Firenze e a Pavia. Una selezione di strumenti fu spedita anche in Russia. Trentasei cassette di ferri chirurgici giunsero in dono da Vienna a Pavia intorno nel 1786. Nel 1845 l’Inventario dei mobili e delle suppellettili scientifiche appartenenti all’armamentario chirurgico (oggi conservato all’Archivio di Stato di Pavia, Antico archivio dell’Università, Rettorato, 161) riporta l’esistenza di trentaquattro scatole, comprese tra gli strumenti antichi. Quando, negli anni trenta del Novecento, la clinica chirurgica si trasferì nella nuova sede del Policlinico, l’antica raccolta (che constava al tempo solo di alcune cassette e di ferri sciolti) pervenne al Museo per la storia dell’Università. Negli anni settanta la collezione fu restaurata e riorganizzata tentando di ricostruirne l’assetto originario. La raccolta è attualmente costituita da trenta cassette di legno, tutte prive del coperchio, ricoperte esternamente di pelle rossa e dotate internamente di una base rivestita di velluto verde, nella quale si trovano degli alloggiamenti sagomati e spesso bordati di passamaneria dorata per accogliere i vari strumenti, costruiti in acciaio, avorio e altri materiali di pregio. Singole cassette - o gruppi di due o più di esse - sono dedicate a particolari tipi di operazioni (ad esempio interventi al cranio, salasso, parto, amputazioni, litotomia, estrazione di proiettili). A queste cassette si devono aggiungere altre otto scatole che contengono una miscellanea di strumenti, anch’essi riconducibili all’ambiente viennese e all’operato di Brambilla. Sei hanno foggia del tutto identica, salvo che in esse è ancora presente il coperchio. Altre due scatole sono invece rivestite in pelle scura e foderate con una grezza stoffa verde (forse in sostituzione di un precedente velluto rosso, ancora presente all’interno del coperchio). Nel complesso la collezione offre un quadro degli interventi e delle tecniche chirurgiche in uso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
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Diciassette fotografie.
Diciassette fotografie.
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I registri dei verbali del Senato Accademico raccolgono le relazioni delle adunanze tenutesi dal 14 gennaio 1883 al 17 ottobre 1970. Il Senato accademico è l’organo di indirizzo, di programmazione, di coordinamento e di verifica delle attività didattiche e di ricerca dell’Università, fatte salve le attribuzioni alle singole strutture scientifiche e didattiche. Concorre all'amministrazione generale dell'Ateneo e alla nomina dei membri del Consiglio di amministrazione. Il Regio Decreto 14 settembre 1862 n. 842, che emanava il regolamento generale delle università del Regno d’Italia di Carlo Matteucci, ministro dell’Istruzione pubblica, costituì l’autorità universitaria cui era affidata la direzione amministrativa e disciplinare, cioè il Consiglio Accademico. L’art. 18 dichiara che il Consiglio Accademico era composto dal Rettore che lo presiede e dai Presidi di facoltà, “eccetto che leggi veglianti presso alcune Università non lo compongano diversamente”. Il Consiglio si riuniva almeno una volta al mese, nel corso dell’anno accademico, e poteva essere convocato straordinariamente dal rettore (art. 20); veniva consultato dal rettore sulle cattedre vacanti, sul modo di supplirvi temporaneamente, sulle disposizioni disciplinari che potevano essere introdotte o proposte al ministro per il miglioramento delle scuole e sulle domande di ammissione agli esami di coloro che non avevano fatto gli studi nella università dello stato per la relativa proposta al ministro (art. 21). Dalle relazioni annuali delle facoltà il Consiglio traeva materia per farne comunicazione al ministro (art. 24). La riforma dell'istruzione superiore attuata con Regio Decreto 30 settembre 1923, n. 2102 (riforma Gentile) previde, tra le autorità accademiche, il Senato accademico, che ereditò composizione e competenze del Consiglio accademico. Esso risultava composto dal rettore in carica che lo presiede, dal rettore appena cessato, dai presidi delle facoltà e dai direttori delle scuole che costituiscono l’Università.
I registri dei verbali del Senato Accademico raccolgono le relazioni delle adunanze tenutesi dal 14 gennaio 1883 al 17 ottobre 1970. Il Senato accademico è l’organo di indirizzo, di programmazione, di coordinamento e di verifica delle attività didattiche e di ricerca dell’Università, fatte salve le attribuzioni alle singole strutture scientifiche e didattiche. Concorre all'amministrazione generale dell'Ateneo e alla nomina dei membri del Consiglio di amministrazione. Il Regio Decreto 14 settembre 1862 n. 842, che emanava il regolamento generale delle università del Regno d’Italia di Carlo Matteucci, ministro dell’Istruzione pubblica, costituì l’autorità universitaria cui era affidata la direzione amministrativa e disciplinare, cioè il Consiglio Accademico. L’art. 18 dichiara che il Consiglio Accademico era composto dal Rettore che lo presiede e dai Presidi di facoltà, “eccetto che leggi veglianti presso alcune Università non lo compongano diversamente”. Il Consiglio si riuniva almeno una volta al mese, nel corso dell’anno accademico, e poteva essere convocato straordinariamente dal rettore (art. 20); veniva consultato dal rettore sulle cattedre vacanti, sul modo di supplirvi temporaneamente, sulle disposizioni disciplinari che potevano essere introdotte o proposte al ministro per il miglioramento delle scuole e sulle domande di ammissione agli esami di coloro che non avevano fatto gli studi nella università dello stato per la relativa proposta al ministro (art. 21). Dalle relazioni annuali delle facoltà il Consiglio traeva materia per farne comunicazione al ministro (art. 24). La riforma dell'istruzione superiore attuata con Regio Decreto 30 settembre 1923, n. 2102 (riforma Gentile) previde, tra le autorità accademiche, il Senato accademico, che ereditò composizione e competenze del Consiglio accademico. Esso risultava composto dal rettore in carica che lo presiede, dal rettore appena cessato, dai presidi delle facoltà e dai direttori delle scuole che costituiscono l’Università.
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I registri dei verbali del Consiglio di Amministrazione raccolgono le relazioni delle adunanze tenutesi dal 23 febbraio 1924 al 9 ottobre 1970. Il Consiglio di amministrazione è l’organo di governo avente funzioni di indirizzo strategico, di gestione e di controllo dell’attività amministrativa, finanziaria ed economico-patrimoniale dell’Ateneo nonché di vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività. Esso opera in coerenza con gli indirizzi programmatici e le linee guida espresse dal Senato accademico definendone le modalità di realizzazione. In base alla riforma Gentile (Regio Decreto 30 settembre 1923 n. 2102 Ordinamento della istruzione superiore) il neocostituito Consiglio di amministrazione era una delle autorità di governo delle università insieme al Rettore, al Senato Accademico, ai Presidi delle facoltà e direttori delle scuole e ai Consigli delle facoltà e Consigli delle scuole (art. 7). Al Consiglio d'amministrazione spettava il governo amministrativo e la gestione economica e patrimoniale dell’università. Risultava composto dal rettore che lo presiedeva, da due membri eletti dal Collegio generale dei professori tra i professori stabili appartenenti all’università, da due rappresentanti del Governo, di cui uno l’intendente di finanza della provincia, l’altro scelto dal Ministro tra persone di riconosciuta competenza amministrativa e che non rivestissero uffici presso le università e gli istituti superiori. L’intendente di finanza aveva obbligo di intervenire personalmente alle adunanze del Consiglio (art. 10).
I registri dei verbali del Consiglio di Amministrazione raccolgono le relazioni delle adunanze tenutesi dal 23 febbraio 1924 al 9 ottobre 1970. Il Consiglio di amministrazione è l’organo di governo avente funzioni di indirizzo strategico, di gestione e di controllo dell’attività amministrativa, finanziaria ed economico-patrimoniale dell’Ateneo nonché di vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività. Esso opera in coerenza con gli indirizzi programmatici e le linee guida espresse dal Senato accademico definendone le modalità di realizzazione. In base alla riforma Gentile (Regio Decreto 30 settembre 1923 n. 2102 Ordinamento della istruzione superiore) il neocostituito Consiglio di amministrazione era una delle autorità di governo delle università insieme al Rettore, al Senato Accademico, ai Presidi delle facoltà e direttori delle scuole e ai Consigli delle facoltà e Consigli delle scuole (art. 7). Al Consiglio d'amministrazione spettava il governo amministrativo e la gestione economica e patrimoniale dell’università. Risultava composto dal rettore che lo presiedeva, da due membri eletti dal Collegio generale dei professori tra i professori stabili appartenenti all’università, da due rappresentanti del Governo, di cui uno l’intendente di finanza della provincia, l’altro scelto dal Ministro tra persone di riconosciuta competenza amministrativa e che non rivestissero uffici presso le università e gli istituti superiori. L’intendente di finanza aveva obbligo di intervenire personalmente alle adunanze del Consiglio (art. 10).